Chiesa  Conventuale – S. Giuseppe dei Carmelitani Scalzi – Mondovì Piazza

La prima chiesa costruita da Francesco Gallo nella sua città natale sorse a Piazza, in contrada «suria» (oggi via della Misericordia), vicina alla chiesa della Confrater­nita di S. Antonio Abate e S. Giovanni Decollato o della Misericordia, ridotta da oltre un secolo a laboratori e abitazioni private. Legata alle due istituzioni di natura diversa ma dai molti contatti, i Padri Carmelitani Scalzi e i Disciplinandi Neri (Battuti Neri) di S. Antonio e S. Giovanni, la chiesa ha conservato le due denominazioni: di S. Giuseppe e della Misericordia. I Padri Carmelitani giunsero a Mondovì al seguito di una clamorosa predicazione durante una «missione» ver­so il 1600 e nel 1637 costruirono il loro convento nella contrada. In un primo tempo e per diversi decenni si servirono della chiesa della Confraternita che si affacciava sul piccolo slargo che la contrada formava in basso nello staccarsi da via di Vico. Ma dopo prolungate e inutili trat­tative per averla in proprietà, benché fossero disposti a costruirne una nuova ai confratelli «…dove fosse loro piaciuto, d’ugual simmetria più o meno a loro genio…», decisero di costruirne una in proprio tra la chiesa di S. Antonio in basso e il loro convento che stava a monte. Si rivolsero all’architetto Francesco Gallo che  nel 1708 stese il progetto, quindi demolite alcune case e il 1 Agosto venne benedetta la prima pietra e si iniziarono  i lavori. Nel 1717 la chiesa era già offìciabile, nel 1723 venne dotata dell’altare maggiore, nel I729 di quello a sinistra della Madonna del Carmine e nel 1742 di quello a destra di S. Teresa. Il 29 Ottobre 1727 venne affidata la decorazione pittorica a Giovanni Francesco Gagini e Pietro Antonio Pozzo, sotto la guida del Gallo che con molta probabilità diresse la vasta decorazione a stucco. Nel 1802 i Carmelitani lasciarono la città come tutti gli altri ordini religiosi e nel 1804 convento e chiesa passarono in proprietà al Pio Istituto delle Orfane. La chiesa  restò chiusa fino al 1861 quando fu ceduta alla Confraternita della Misericordia che vi si trasferì abbandonando e alienando la sua vecchia sede, e venne riaperta ai fedeli. L’impianto originario della chiesa si è conservalo integro attraverso i passaggi di proprietà, le dispersioni e le opere di adattamento del convento. La chiesa ha pianta a croce con asse di ingresso che si prolunga nel coro e nell’abside rotonda, e quello trasversale innestato in avanti verso l’ingresso che accentua la dilatazione laterale e introduce sollecitamente nello spazio centrale: un quadrato poco smussato negli angoli su cui si  libra, sospesa sui pennacchi, l’alta cupola rotonda. L’ordine architettonico con colonne composite a tutto tondo vivacizza l’interno che si svolge con  andamenti semplici e pacati, quasi rattrappito nel poco disponibile tra le due strade e le costruzioni preesistenti, costretto a cercare sfogo nell’altezza. I blocchi della compatta composizione volumetrica scattano altissimi: la facciata dal leggero aggetto sotto il frontone triangolare, piana, schiacciata dalla stretta contrada e l’abside cilindrica che incombe a piombo, come un torrione, su via Vico; la cupola a tiburio ottagonale e il quadrato campanile che sembra il «tutore» a cui tutto si stringe e si appoggia, svettano rosseggianti nel mattone a vista sui tetti di Piazza, caratterizzando inconfondibilmente la skyline del borgo nelle sue vedute da mezzogiorno e dai colli della Garzegna a levante. In una elaborala nicchia barocca, altissima, nell’ab­side su via Vico, è esposta una statua della Madonna e nelle poderose sostruzioni della chiesa, sul lato lungo la strada, si trova la cripta dei frati che conserva impilate lungo le pareti le sepolture dei Carmelitani, dal 1735 alle soglie del 1800, unificate dalla ricorrente decorazione che riproduce un sarcofago barocco.

Nell’interno, la affiatatissima coppia di pittori Gio­vanni Francesco Gagini di Bissone, figurista, e Pietro Antonio Pozzo di Lugano, quadraturista e prospettico, realizzò la ricchissima decorazione pittorica, tra le più unitarie e coerenti del Settecento monregalese, sotto la guida sicura del Gallo. Il Gagini, «disinvolto frescante, esperto nella compo­sizione prospettica e negli effetti di luce, corroborati da sapienti gradazioni di colori…» (Carboneri), celebrò nel­la cupola la gloria di Santi Carmelitani e nel catino absidale quella di S. Giuseppe. Ma sopratutto il Pozzo operò in perfetta sintonia con l’architettura del Gallo e lasciò delle riquadrature prospettiche di eccezionale efficacia. Nella calotta scorciò un tamburo dipinto di indescrivibile fantasia barocca, certamente ispirato a quello della «Mis­sione» del suo omonimo Andrea Pozzo, ma dalla imma­ginazione completamente estraniata da ogni aspetto di ar­chitettura reale, tutta punte e rotazioni svergolanti; sven­trò i quattro pennacchi della cupola per ricavare coretti passanti animati da angeli; arricciò stucchi, cornici e car­tigli, dispose fiori in vaso e serti di frutta, marmorezzò tutto con estrema eleganza e leggerezza. Sulla fama di questo suo capolavoro il Gallo lo chia­mò poi, una decina di anni dopo, a dipingere il Santuario di Vicoforte: tenterà di fare da solo le quadrature e le fi­gure ma fallirà e l’opera sarà subito cancellata. Raffìnatissimo disegno ancora del Gallo sono gli al­tari, in particolare quello maggiore di preziosissimi mar­mi, a sarcofago con alzata a gradoni e grande tronetto sul tabernacolo, composto in unità con le due porte laterali che adducevano al coro dei monaci. La chiesa accoglie un ricco apparato di tele tra cui la pala dell’altare maggiore con la Madonna tra i santi Mauro, Antonio Abate e Giovanni Battista proveniente dalla vecchia Confraternita, e quella della Visitazione nel presbiterio, del 1789, che era nella cappella delle Umiliate presso la chiesa della Missione, nonché una serie di di­ciassette tele sulla Vita di S. Teresa d’Avila, carmelitana, contitolare della chiesa.

ESTRATTO da Lorenzo Bertone “ARTE NEL MONREGALESE” L’artistica Editrice 2002
Bibliografia: Carboneri 1954, Ansaldi 1957, Carboneri 1970, Baretti 1993, Comoli-Palmucri 2000.