Pierfrancesco Mazzucchelli, detto il Morazzone dal suo paese di origine, nasce nel 1573 vicino a Varese. Giovanissimo si reca a Roma dove intraprende la formazione artistica presso Ventura Salimbeni e poi negli ambienti del Cavalier d’Arpino. In quegli anni era a Roma anche il Caravaggio, ma sarebbe azzardato affermare un loro incontro.

Nel 1598 torna in Lombardia non accompagnato da gran fama e nel 1602 il vescovo Carlo Bascapè gli commissiona la decorazione della cappella Andata al Calvario al Sacro Monte di Varallo. Tale commissione è molto circostanziata e vincola il Morazzone affinché la pittura sia il più possibile integrata con il gruppo plastico già realizzato dal Tabacchetti, mentre il paesaggio dovrà prendere a modello la cappella della Crocifissione allestita quasi un secolo prima da Gaudenzio Ferrari. Seguiranno anche le decorazioni delle cappelle dell’ Ecce Homo e della Cattura di Gesù fino al 1615. Proprio da questi anni lo stile del Morazzone si arricchisce di una rinnovata attenzione ai modi del pieno Rinascimento lombardo a cui più tardi si affiancherà l’interesse e la conoscenza dell’opera del Cerano, dei maggiori protagonisti del primo ‘600 lombardo e dei manieristi veneti.

Dal 1608 lavora a Como, nel 1616 viene chiamato al Sacro Monte d’ Orta; nell’ultimo periodo della sua attività entrò negli ambienti della corte dei Savoia e affrescò alcune sale del Castello di Rivoli e la tela della Provincia di Susa(oggi alla Galleria Sabauda), che doveva far parte di una serie di tele commissionate anche al Cerano e al Procaccini, altri due esponenti del Seicento lombardo.

Muore forse a Piacenza (dove stava lavorando) nel 1626. Intorno al 1613 aveva raggiunto una certa notorietà grazie alla citazione in una poesia di Giovan Battista Marino.

Lo stile del Morazzone è debitore a Gaudenzio Ferrari, il grande artista del Rinascimento lombardo, dal quale assorbe la straordinaria sensibilità scenografica, poi affiancata al tardo manierismo di matrice barroccesca  e alla tradizione lombarda, in una sintesi di forza del tutto nuova.

La tela della Adorazione del Bambino forse si colloca negli anni in cui il Morazzone venne chiamato alla corte Sabauda, anche se non si conoscono le modalità del suo arrivo al Santuario di Vicoforte. L’importante restauro fatto non ha permesso di scoprire le parti certe del Morazzone da quelle della sua bottega.

È anche ipotizzabile che fosse stata commissionata per uso privato, stante le dimensioni. È certo comunque che dall’opera spira un’aria di forte intimismo dato dall’impostazione circolare dei personaggi che sembrano racchiudere in una doppia conchiglia il Bambino, centro e fulcro della luce e dell’attenzione: S. Giuseppe e la Madonna, con al centro il bellissimo angelo musicante; i due angeli che adorano il Bambino. Molto dolce e tenero il bacio dell’angelo in abito rosa. Anche il bue e l’asino richiamano la stessa intimità, mentre il pastore(?) sullo sfondo si addormenta, proprio a sottolineare che il momento rappresentato ha caratteristiche di adorazione privata.

Lo stile scenografico del Morazzone torna qui nella raffigurazione della capanna scura, quasi incombente sulla scena, ma che la racchiude, lasciando fuori dalla sacra intimità il paesaggio fantastico dello sfondo (notevole lo squarcio di cielo a destra) e la figurina di angelo(?) in alto a sinistra che è stato recuperato dal paziente restauro di Luisa Torrero.

Ultima nota: la raffigurazione minuziosa dei fiori ai piedi della Vergine ci riportano a stilemi nordici e a tutta la lunga serie di arazzi medievali (pensiamo alla Dama e l’Unicorno o agli arazzi del Vescovado su cartoni di Rubens).