La cappella di San Maurizio si trova all’interno del cimitero di Castelnuovo di Ceva, in posizione leggermente sopraelevata e isolata rispetto al nucleo abitato. Mostra esternamente l’aspetto di sobria vetustà proprio dell’architettura romanica dell’XI secolo, con facciata a capanna e paramento murario in conci di pietra. Si tratta di un sacello di piccole dimensioni a navata unica con la zona presbiteriale arricchita nel 1459 da una decorazione parietale ad affresco estesa sulle pareti e sulla volta a crociera ogivale. La lunetta della parete di fondo, oltre l’altare, presenta una decorazione pittorica non conservata integralmente a causa della caduta di parti di intonaco affrescato, e risulta divisa in due fasce sovrapposte. La fascia superiore, la cui scena figurata scende in quella inferiore nella sua parte centrale, rappresenta la Crocifissione con la Vergine, San Giovanni, e la Maddalena ai lati e ai piedi della Croce, sullo sfondo di una muratura merlata sovrastata, a destra, da un cartiglio svolazzante. La fascia inferiore individua due riquadri ai lati. Quello sinistro incornicia la figura di San Maurizio a cavallo, con capelli biondi separati da un diadema, elegante armatura e vessillo crociato. Sul suo bordo bianco superiore si legge un’iscrizione che riporta “MCCCCLVIIII” che permette la datazione dell’affresco. Il riquadro destro presenta l’immagine di San Michele arcangelo con armatura, abito elegante e acconciatura ricercata, che pesa le anime e trafigge una creatura mostruosa. Una fascia decorata delimita in basso la lunetta nella sua parte destra e sovrasta una pittura di epoca più tarda con tre figure angeliche che sorreggono il telo della Santa Sindone. La lunetta della parete sinistra propone episodi della vita di San Maurizio ed è divisa in due fasce sovrapposte. Quella superiore ospita la raffigurazione della Benedizione di San Maurizio, a suggello della sua conversione al cristianesimo, dove si vede la raffigurazione del santo e dei numerosi soldati della sua legione, nimbati, in armatura, con acconciature ricercate e vessilli crociati. Quella inferiore è ulteriormente ripartita in due riquadri. Quello sinistro riproduce il Giudizio e la Condanna di San Maurizio per non aver rispettato le disposizioni imperiali in conflitto con la sua fede che vede il santo nimbato con diadema sul capo e vessillo rosso bianco crociato; quello destro il Martirio della legione tebea e il trasporto in cielo delle anime delle vittime da parte di due creature angeliche, in cui si vedono il santo nimbato e con diadema ad impreziosire l’elegante acconciatura e la cruenta e dettagliata rappresentazione della decapitazione dei soldati in armatura. Il margine inferiore è segnato da un fregio a nastro. Anche la lunetta della parete destra è divisa in due fasce sovrapposte e limitata inferiormente dallo stesso fregio. Nella sezione in alto è riprodotta la Natività con l’annuncio della Buona Novella ai pastori. La parte in basso è interrotta da una finestra ai lati della quale si sviluppano le rappresentazioni dell’Adorazione e del Corteo dei Magi abbigliati con costumi preziosi e accompagnati da un palafreniere, cavalli e dromedari. Le vele della volta a crociera ogivale separate da costoloni decorati e rosone a spicchi riproducono, tra cartigli svolazzanti e iscrizioni sulle strutture che li ospitano, gli Evangelisti e i Dottori della Chiesa divisi in quattro coppie sedute su elaborati scranni, già identificati con San Matteo, con l’angelo, e Sant’Agostino; San Giovanni e San Gregorio Magno; San Luca, con il bue, e San Gerolamo; e San Marco e Sant’Ambrogio. Da segnalare il ripetersi, attraverso tutta l’estensione del ciclo pittorico, del motivo del pavimento a ciottoli tondi, rinnovato anche per il manto del cavallo di San Maurizio. La decorazione pittorica della cappella risale al 1459 come direttamente indicato dalla già citata iscrizione e si inserisce nel filone figurativo che, dopo la realizzazione del ciclo di Santa Croce a Mondovì Piazza, si proietta dentro la seconda metà del ‘400, e che comprende il ciclo di Segurano Cigna in Santa Maria Maddalena di Cerisola risalente al 1461, ma anche il ciclo della chiesa di Santa Maria della Neve di Montanera della Stura di Demonte. In merito alle figure della volta è stata chiamata in causa la lezione di Rufino d’Alessandria; ma quello legato genericamente alla maniera di Antonio da Monteregale e al lessico morfologico monregalese è il contesto in cui la decorazione della cappella viene prevalentemente inserita. Relativamente alle stesse figure degli Evangelisti e dei Dottori sulla volta, ma anche alle scene della Crocifissione e della Natività è stata segnalata la vicinanza ai brani ancora leggibili del ciclo di Cerisola di Segurano Cigna, ma anche agli affreschi di Montanera dello Stura di Demonte, a loro volta vicini alla maniera dello stesso artista; per la figura del Cristo crocifisso viene notata l’analogia con quello che compare in Santa Croce a Mondovì Piazza, sulla Croce brachiale e nella Flagellazione. Il clima artistico in cui questa espressione pittorica si inserisce è quello del gotico internazionale che, pur non essendo nato nelle regioni alpine, ma nelle grandi corti della fine del Trecento, tuttavia trova in questi contesti una fortunata accoglienza e una possibilità di espressione notevolmente protratta nel tempo. Non si tratta però dell’aspetto prevalente e più identificativo del linguaggio delle corti con la sua valenza aulica e lirica, carico di eleganzaostentata e preziosità esibita, ma anche di sinuosità della linea e soavità e dolcezza delle espressioni. Si tratta piuttosto della predilezione attribuita alla componente meno rappresentata, ma pur sempre presente nell’ambito del gotico cortese, legata ad un linguaggio più icastico, drammatico ed in qualche modo popolare, con attenzione naturalistica e caratterizzazione caricaturale o patetica. Lo specifico contesto cuneese, inoltre mostra un accentuato interesse per l’intenzione narrativa e i toni rudi del racconto. L’esigenza di comunicare in modo efficace e diretto spinge all’allontanamento dall’arte di corte e all’adozione di un linguaggio che confina con il realismo e che traduce il racconto religioso in una rappresentazione di vita reale. Nel contesto locale, ciò produce un contesto culturale uniforme che vede il diffondersi, nel corso di tutto il Quattrocento, di un linguaggio comune che accomuna le diverse botteghe pittoriche attive sul territorio monregalese, in cui è prevalente la maniera di Antonio da Monteregale, a dispetto delle soluzioni più innovative di Rufino d’Alessandria, dei Pocapaglia da Saluzzo, o di Jaquerio, non recepite se non nei loro aspetti più superficiali, e che si estende per tutto il secolo senza grandi variazioni di stile, fino alla sua replica stanca, nell’ultimo decennio del secolo. Si tratta di un codice linguistico che si propone un intento narrativo umile e didascalico, e che si traduce in stilemi caratterizzati da commovente ingenuità, vivacità cromatica, sguardi pungenti delle figure che acquisiscono rilievo plastico grazie alla consistenza grafica delle pennellate, e rigida tessitura delle linee di contorno. Solo l’avvento del XVI secolo porta ad una svolta in chiave rinascimentale, con l’inserimento delle novità che, al di fuori del contesto locale, avevano già cambiato il corso della storia dell’arte.