La cappella di San Nazario si trova nella frazione Prata di Lesegno e si presenta come una emergenza architettonica isolata rispetto al nucleo abitato, ma situata in prossimità della principale via di accesso. La primitiva architettura absidata romanica ha subito rimaneggiamenti nel tempo e le sue pareti interne sono state più volte affrescate, tra l’inizio del XV e l’inizio del XVI secolo, nelle forme proprie della pittura tardo gotica del basso Piemonte. Gli affreschi si sviluppano sulle pareti sinistra e destra dell’unica navata e su parete e base del catino absidale come sequenza di episodi isolati senza reciproci evidenti legami iconografici o stilistici. La parete sinistra della piccola aula mostra, vicino alla porta di ingresso, un affresco risalente al primo quarto del Cinquecento, con la Madonna in trono col Bambino tra San Sebastiano e un santo martire che regge una spada, forse San Nazario, all’interno di una cornice a cerchi concatenati, su modello dell’opera eseguita nel 1510 da Defendente Ferrari per la Madonna degli Angeli di Boves, anche se declinato secondo stilemi che provengono da un substrato locale, qualitativamente più modesto, e legati ancora a motivi monregalesi quattrocenteschi come il pavimento a ciottoli tondi. Proseguendo verso l’abside si trovano quattro riquadri contigui con cornici bicrome che ritraggono San Giovanni Battista con la tunica di pelliccia; Santa Caterina d’Alessandria con la ruota del martirio e dall’aspetto raffinato e prezioso, su fondo dorato; San Giacomo Maggiore con il bordone e ritratto frontalmente in modo rigido, all’interno di una struttura di cornici in prospettiva; e San Martino di Tours con il mantello tagliato, in elegante foggia di cavaliere medievale. Già attribuiti ad artisti diversi, vengono fatti risalire agli anni 1470-80. Successivamente si individuano altri tre riquadri in compromesse condizioni conservative, rispettivamente riproducenti la Madonna col Bambino, accanto ad una struttura fortificata; due Santi, di cui uno che calpesta un drago, e uno reggente un libro; e una Crocifissione tra due santi, con il Cristo dal volto sofferente con un santo monaco vestito di bianco con folta barba, e un abate con un libro nella mano sinistra. L’attenta individuazione psicologica rivela l’alta qualità delle maestranze la cui attività è riferibile al contesto elegante del gotico internazionale del primo quarto del XV secolo. Sulla parete destra, partendo dalla zona absidale, sono raffigurati tre riquadri contigui entro cornici bicrome, due dei quali ascrivibili alla stessa mano dei tre precedentemente descritti e alla raffinatezza del gotico internazionale del primo quarto del Quattrocento, con un Santo martire in abiti cortesi e con ricercata acconciatura, che regge un libro, forse San Nazario, accompagnato da una iscrizione, la cui ambiguità di interpretazione non ne permette però una univoca individuazione del nome; Santa Lucia che sostiene il vassoio con i bulbi oculari, di fattura sicuramente più popolaresca; e San Bartolomeo con il coltello strumento del suo martirio, e il libro. A seguire sono affrescate, entro cornici con motivi fitomorfi, due scene contigue, la Natività, con la capanna e il bambino appoggiato a terra sul manto della Madonna; e l’Adorazione dei Magi, con la Madonna assisa su una sella di cavallo, il Bambino che tiene in mano uno dei doni ricevuti e due dei Magi intenti a scrutare il cielo. Opere attribuibili ad una bottega locale della fine del Quattrocento. La parete absidale presenta estese lacune di pellicola pittorica che permettono però di distinguere una originaria decorazione articolata in due fasce sovrapposte: una inferiore con un finto velario rosso profilato di pelliccia bianca su fondo blu, e una superiore con una teoria di tondi con busti, oltre che motivi decorativi delle monofore. La base del catino absidale mostra scarsi lacerti di pittura che permettono di individuare artigli di animali, fiamme e figurette nude uscenti da una tomba, e quindi di ipotizzare la loro appartenenza alla rappresentazione di un Giudizio Universale. La realizzazione dell’intera decorazione presbiteriale viene collocata entro la metà del Quattrocento. Il clima artistico in cui questa espressione pittorica si inserisce è quello del gotico internazionale che, pur non essendo nato nelle regioni alpine, ma nelle grandi corti della fine del Trecento, tuttavia trova in questi contesti una fortunata accoglienza e una possibilità di espressione notevolmente protratta nel tempo. Non si tratta però dell’aspetto prevalente e più identificativo del linguaggio delle corti con la sua valenza aulica e lirica, carico di eleganza ostentata e preziosità esibita, ma anche di sinuosità della linea e soavità e dolcezza delle espressioni. Si tratta piuttosto della predilezione attribuita alla componente meno rappresentata, ma pur sempre presente nell’ambito del gotico cortese, legata ad un linguaggio più icastico, drammatico ed in qualche modo popolare, con attenzione naturalistica e caratterizzazione caricaturale o patetica. Lo specifico contesto cuneese, inoltre mostra un accentuato interesse per l’intenzione narrativa e i toni rudi del racconto. L’esigenza di comunicare in modo efficace e diretto spinge all’allontanamento dall’arte di corte e all’adozione di un linguaggio che confina con il realismo e che traduce il racconto religioso in una rappresentazione di vita reale. Nel contesto locale, ciò produce un contesto culturale uniforme che vede il diffondersi, nel corso di tutto il Quattrocento, di un linguaggio comune che accomuna le diverse botteghe pittoriche attive sul territorio monregalese, in cui è prevalente la maniera di Antonio da Monteregale, a dispetto delle soluzioni più innovative di Rufino d’Alessandria, dei Pocapaglia da Saluzzo, o di Jaquerio, non recepite se non nei loro aspetti più superficiali, e che si estende per tutto il secolo senza grandi variazioni di stile, fino alla sua replica stanca, nell’ultimo decennio del secolo. Si tratta di un codice linguistico che si propone un intento narrativo umile e didascalico, e che si traduce in stilemi caratterizzati da commovente ingenuità, vivacità cromatica, sguardi pungenti delle figure che acquisiscono rilievo plastico grazie alla consistenza grafica delle pennellate, e rigida tessitura delle linee di contorno. Per quanto riguarda specificatamente il contesto territoriale del Marchesato di Ceva convivono, accanto ad un lessico più vicino al contesto monregalese individuato ad esempio nella figura della Santa Caterina d’Alessandria della cappella di San Nazario di Lesegno, anche un linguaggio figurativo tardo-gotico di tipo maggiormente cortese, ed espressioni che tradiscono l’influenza di Rufino d’Alessandria come il San Bartolomeo dello stesso sacello. Solo l’avvento del XVI secolo porta ad una svolta in chiave rinascimentale, con l’inserimento delle novità che, al di fuori del contesto locale, avevano già cambiato il corso della storia dell’arte.