La chiesa di Sant’Agostino in Saliceto  è posta dietro alla parrocchiale di San Lorenzo e ha subito notevoli rimaneggiamenti nel tempo. Un tempo era intitolata al “Santo Spirito” e successivamente, similmente a Murialdo e a Perti nel Finalese, acquisì il titolo di Sant’Agostino. E’ nota, in loco, come la “Confraternita dei Battuti” ed è sconsacrata da molto tempo. Riveste un particolare valore artistico per una cappella mirabilmente affrescata, i cui dipinti risalgono alla seconda metà del 1400. Così scrive Gigi Gallareto nel libro “Saliceto il nostro paese”, curato dal maestro Augusto Pregliasco:

“Nell’antica cappella sopravvivono gli affreschi su due lati e sulla volta, in una condizione alquanto precaria. Trattasi di affreschi di una mano di artista particolarmente felice, tra le migliori nel grande ciclo gotico – provenzale abbracciante il Basso Piemonte Occidentale, la Riviera di Ponente e la Provenza Orientale. Affreschi di qualità superiore addirittura a San Martino di Lignera, altra località in Saliceto con analoghi affreschi, in questo caso ricoprenti metà della chiesa (il presbiterio) e, sotto certi aspetti, simili tra loro per le decorazioni floreali tipiche dell’epoca. Sulla lunetta di fondo spicca una Crocefissione molto semplice, seppure ricca di dettagli, con la Madonna e San Giovanni ai lati della croce. Sullo sfondo il muro alto e merlato della “Gerusalemme celeste”, esattamente come nelle tre lunette di San Martino.”

Sotto la lunetta della Crocefissione è raffigurato un trittico con la Madonna e Gesù bambino in braccio, tra sant’Agostino alla sua destra, e san Bernardino da Siena alla sua sinistra; quindi San Giovanni Battista che tiene in mano il cartiglio evangelico “ECCE AGNUS DEI”; e all’estremità opposta san Vincenzo Ferrer. San Giovanni Battista è raffigurato secondo l’iconografia tipica delle sacre scritture. E’ infatti vestito di grezze pelli di cammello, con l’aggiunta di un umile mantello. Peculiare interesse acquisisce il nodo della cintola, peraltro presente anche nella vicina parrocchiale, nella cella battesimale, in uno dei coperti piramidali in rame sulle acquasantiere, anch’essi quattrocenteschi. Sul lato opposto, a destra, è raffigurato San Vincenzo Ferrer con il libro sacro appeso alla cintura, famosissimo predicatore domenicano, vissuto tra il 1350 e il 1419. La presenza di questo santo è importante per la datazione del ciclo di affreschi, almeno della parete principale, giacché fu canonizzato da papa Callisto III nell’anno 1455 e, pertanto, si può desumere che i dipinti siano posteriori a quella data. Mentre san Giovanni Battista indica la parte centrale del trittico, e cioè la Madonna con il Bambino, san Vincenzo Ferrer addita invece Dio nell’angolo in alto a sinistra del riquadro, raffigurato barbuto e con le saette in mano, rarissima raffigurazione corrispondente a Giove. La parte centrale e più importante del “trittico” è focalizzata su una raffinatissima Madonna in trono ligneo con Gesù bambino sulle ginocchia, collocata tra i santi Agostino e Bernardino da Siena. Quest’ultimo fu canonizzato pochi anni prima di Vincenzo Ferrer, nel 1450 da papa Niccolò V, e indica il sovrastante monogramma cristologico in lettere d’oro, antichissimo, che si prodigò di diffondere in tutta la cristianità (JHS). Nella mano sinistra sorregge un voluminoso libro dalle pagine aperte dove, per ulteriore chiarezza, sta scritto “Pater, manifestavi nomen tuum omnibus”.

Le peculiarità del trittico sono l’estrema dolcezza e raffinatezza del volto della Madonna, accompagnato dal gesto elegante della mano destra che stringe tra il pollice e l’indice un candido fiore (probabilmente la “rosa mistica”); il mantello bianco con decoro geometrico a fiori neri e rossi asseconda morbidamente la forma del corpo, suggerendo una tridimensionalità rara nell’iconografia gotico-provenzale. Il Bambino Gesù, nudo dalla cintola in su, stringe una rondine nella mano destra che gli quasi gli becca l’indice della mano sinistra Dal collo pende un “rametto” di corallo che nel Medioevo era simbolo delle gocce di sangue sulla croce ed era inoltre tradizione che proteggesse dai pericoli e, per questo motivo, era messo al collo degli infanti. Diversa l’interpretazione della rondine che, per certi versi, alluderebbe ai Vangeli Apocrifi, secondo i quali Gesù Bambino si sarebbe dilettato a forgiare uccellini di creta o di fango per poi infondere loro la vita con il suo alito divino. Ma la rondine è anche il simbolo per eccellenza della primavera e nella simbologia cristiana alludeva alle anime beate del Paradiso. Un’analoga Madonna, anch’essa di raffinata bellezza, è presente a Saliceto nella chiesa dei santi Gervasio e Protasio, al di là del fiume Bormida, di fronte a San Martino. Anche questa Madonna tiene in mano un fiore e il Bambin Gesù indica la rondine.

Da segnalare, nella sovrastante lunetta della Crocefissione, dove Cristo in croce è assistito dalla Madonna e da san Giovanni Evangelista, la presenza del muro merlato sullo sfondo, esattamente come nei coevi affreschi di San Martino a Lignera: il muro divisorio tra la Gerusalemme celeste, al di là del muro, e la Gerusalemme terrena, dove si svolge la scena. Qui, però, il muro non è una semplice parete divisoria, ma presenta quattro eleganti monofore con vetrate, rarissime. Un’altra peculiarità dell’affresco sono i committenti: piccoli e insignificanti, ai lati del trono della Vergine, due per lato, oranti e devotamente inginocchiati, umili, palesemente i “Battuti Bianchi”.

Di tutt’altro genere il ciclo pittorico, sempre quattrocentesco, della parete Sud, purtroppo particolarmente deteriorati. Il primo affresco, sulla sinistra, rappresenta una festosa natività che sembra ambientata nel castello di Saliceto, infatti la scenografia è pertinente alla prima stanza destra in castello, al di là del portale di accesso. Quattro donne attorniano premurose un pargolo appena nato; due sono a capo scoperto e due hanno il capo velato, presentano acconciature semplici ma nel contempo eleganti, e sono vestite con lunghi abiti tipici dell’epoca. Il talamo sullo sfondo è composto ordinatamente, nella stanza adiacente, al di là di un ampio arco. Sul lato opposto del cortile con il pozzo, una donna, probabilmente una fantesca, si allontana sotto una porta ad arco con un mastello di legno sul capo, pieno probabilmente di panni sporchi. Un bambino la osserva, da una specie di terrazzino. Splendido e al tempo stesso familiare il piccolo armadio a muro, a tre piani, colmo di ampolle, ciotole e vasetti denotanti un ambiente benestante.

Di non minore importanza è l’altro affresco, a destra, in prossimità della porta d’accesso. Una cartolina veramente eccezionale di com’era Saliceto nel XV secolo: un borgo popoloso, con mura turrite e torri al suo interno, della stessa dimensione del borgo storico attuale. Sullo sfondo, in lontananza, la “torre della fontana”, quasi a segnare un felice “hortus conclusus”. Del castello s’intravvede soltanto una grossa torre rossiccia, rotonda, in primo piano nell’estremità sinistra. Un castello molto diverso da quello attuale. Questo affresco unico ed eccezionale è probabilmente un ex-voto con il biondo cavaliere che, sceso da cavallo sulla collina di Rovereto al di là della Bormida, s’inginocchia con le mani giunte a ringraziare il Signore per essere tornato finalmente a casa, sano e salvo, oppure per essere sopravvissuto dopo una brutta caduta da cavallo. Un giovane, con addosso soltanto un camicione, è intento a pescare nel fiume con una canna rudimentale.  Dietro è riportato un angolo idilliaco in riva alla bialera, con un boschetto con alberi d’alto fusto, una lepre, dei funghi, orti coltivati. Sullo sfondo tre croci allineate in cima a una bassa collina: quasi a raffigurare il Golgota, quasi a rappresentare Saliceto come novella Sion…In ultimo, in bella evidenza, uno stemma che finora non si è stati in grado di “decifrare”: ignota è la famiglia nobiliare al quale appartenesse. Sicuramente pertinente al cavaliere in primo piano con le mani giunte. Un aureo leone rampante, incoronato, su campo per metà rosso e per metà nero (i colori di Genova).

Il terzo affresco, nella lunetta in alto, purtroppo gravemente danneggiato, soltanto parzialmente visibile, raffigura tre suore in riva al fiume Bormida, con i vangeli appesi alla cintola, in disputa con il traghettatore che pretende l’obolo per trasportarle sulla riva opposta. Singolare la zattera costituita da due barche unite con una grossa tavola, manovrata da una lunga corda legata a un palo, sulla quale sta il traghettatore dagli enormi calzari neri. La “sorella” in primo piano ha l’aureola e pertanto è una santa. Non più visibile a destra, ma forse parzialmente recuperabile in fase di restauro, è il miracolo della santa che, di fronte ad rifiuto del traghettatore d’imbarcare lei e le consorelle senza il pagamento dell’obolo, stende il suo mantello sul fiume e il mantello s’irrigidisce diventando provvidenziale chiatta.

Nella volta sono riprodotti i simboli dei 4 evangelisti: l’aquila, l’angelo, il bue e il leone. Ciascuno con i cartigli riportanti “l’incipit” dei loro vangeli. Al centro, inscritto in un cerchio situato nella chiave di volta della crociera, s’intravede l’Agnus Dei, con il vessillo bianco dove spicca la croce, stemma della cristianità. Nell’arco “trionfale” che un tempo collegava questa cappella alla chiesa, sono ancora perfettamente ravvisabili due tradizionali “dottori della chiesa”: san Girolamo, tradizionalmente vestito di rosso, e sant’Ambrogio, con lo staffile a tre corde nella mano destra. Ultimo dettaglio architettonico, non secondario, riguarda il portale scolpito nella pietra arenaria, similmente la straordinaria facciata rinascimentale della chiesa parrocchiale. Su di esso s’intravvede un grande spazio vuoto dove un tempo era raffigurata la Santa Sindone: affresco più volte citato dallo studioso Nino Carboneri. E a Saliceto la “Santa Sindone” trascorse una nottata, nel 1706, nella chiesa di Sant’Agostino, durante il suo viaggio di ritorno a Torino, scampato il pericolo dell’assedio francese alla città.