Cengio Alto, Chiesa della Natività di Maria

Dr. C. Maritano, D. Oliveri, S. Badoglio
22 febbraio 2014

 

Cengio Alto e la chiesa della Natività
di Maria di Daniela Olivieri e  Simone Badoglio

COMPENDIO STORICO

Secondo le fonti storiche l’attuale territorio di Cengio fu abitato in epoca preistorica dai Varagini, una locale tribù dei Liguri, che solamente nel 163 a.C. verranno sottomessi, senza non poche difficoltà, dall’Impero romano]. Il borgo medievale, citato con l’antico toponimo di Cinglum o Cinglo, verrà assoggettato al vescovo di SavonaBernardo con diploma imperiale di Ottone I del Sacro Romano Impero – datato all’8 settembre 967 – e confermato nel 999 da Ottone III al vescovo Giovanni I.

Compreso nella Marca degli Aleramici dal X secolo e possesso di Bonifacio del Vasto (quest’ultimo cederà il borgo di Cinglo alla canonica dell’abbazia di Ferrania nel 1097), i feudi principali di Cengio e Rocchetta Cengio passeranno nel 1142 nelle mani di Ugo del Vasto, marchese di Clavesana e poi del fratello Anselmo di Ceva. È in questo frangente storico che verranno edificati il castello di Cengio Alto e la torre saracena di Rocchetta Cengio, entrambi distrutti nei secoli successivi.

Nel 1268 il territorio feudale (comprensivo anche dei centri maggiori come Millesimo e Saliceto) entrò nelle proprietà del marchese Corrado Del Carretto che l’anno successivo si metterà sotto la protezione della Repubblica Astese. Negli anni successivi fu sempre assoggettato al vassallaggio della famiglia carrettesca, ma nelle proprietà del Marchesato del Monferrato e della Signoria Viscontea.

Nel corso delle guerre franco-spagnole del Seicento Cengio acquisì un importante ruolo strategico: se i franco-piemontesi fossero riusciti a impadronirsene, avrebbero potuto utilizzare Cengio come base da cui minacciare di interrompere il collegamento fra Milano e Madrid lungo la valle della Bormida di Spigno. Dal 1638 gli spagnoli finanziarono la costruzione di fortificazioni moderne a Cengio tramite l’imposizione di dazi nel Finalese. Nel 1639 gli scontri bellici portarono alla devastazione del paese e alla distruzione del castello. Nel 1659 i territori tra Cengio e Millesimo verranno ceduti dalla Spagna al Ducato di Savoia e dal 18 novembre del 1738, a seguito della Pace di Vienna, annesso al Regno di Sardegna.

Sul finire del XVIII secolo subì la sorte di altri borghi e località della val Bormida partecipando agli scontri napoleonici del 1796.

Con la dominazione francese il territorio di Cengio rientrerà dal 2 dicembre 1797 nel Dipartimento del Tanar], con capoluogo Asti, all’interno della Repubblica Subalpina annessa al Primo Impero francese. Dal 13 giugno 1805 al 1814 verrà inserito nel Dipartimento di Montenotte.

Nel 1815 verrà inglobato nel Regno di Sardegna, così come stabilirà il Congresso di Vienna del 1814 anche per gli altri comuni della repubblica, inizialmente compreso nella III Divisione di Cuneo e sotto la Provincia di Mondovì; dal 1819 Cengio verrà amministrato dalla sabauda Provincia di Genova nella VII Divisione di Genova.

Inglobato nel Regno d’Italia dal 1861, dal 1859 al 1927 il territorio fu compreso nel II mandamento di Millesimo del Circondario di Savona facente parte della Provincia di Genova; nel 1927 anche il territorio comunale cengese passerà sotto la neo costituita Provincia di Savona.

Nel 1929, il comune di Rocchetta Cengio viene soppresso e unito a quello di Cengio.

Dal 1973 al 30 aprile 2011 ha fatto parte della Comunità Montana Alta Val Bormida, quest’ultima soppressa con la Legge Regionale n° 23 del 29 dicembre 2010]e in vigore dal 1º maggio 2011.

TAVOLA SINOTTICA

IL XVII SECOLO A CENGIO E FUORI, AVVENIMENTI STORICI E ARTISTICI

  • 1598 Muore Filippo II di Spagna.
    Nasce a Napoli il 7 dicembre Gian Lorenzo Bernini.
  • 1600 La parrocchia di Cengio viene intitolata alla Natività della Beata Vergine Maria
  • 1601 Rubens è a Roma
  • 1602 Giungono a Roma Rubens, Domenichino e Lanfranco. Rubens esegue tre dipinti per la chiesa di Santa Croce in Gerusalemme
  • 1604 Giovanni Battista Del Carretto, figlio di Niccolò III conte di Millesimo, promette di vendere a Carlo Emanuele I duca di Savoia i luoghi di Cengio e Rocchetta, la metà di Millesimo e di Cosseria, Biestro, Plodio e Acquafredda, che egli aveva ricevuto in feudo da SM. Imperiale.
  • 1605 È eletto papa Paolo V Borghese
  • 1606 G.B. Marino pubblica la prima raccolta di rime.
    Rubens firma il contratto per i dipinti dell’altare maggiore di Santa Maria in Vallicella.
  • 1608 Rubens lascia definitivamente l’Italia per tornare ad Anversa
  • 1609 Muore Annibale Carracci.
    Keplero pubblica Astronomia Nova
  • 1612 Arriva a Roma Pietro da Cortona, il più noto frescante barocco
  • 1618 Inizia la guerra dei Trentanni
  • 1623 È eletto papa Urbano VIII Barberini, principale committente di Bernini.
  • 1634 Pace di Praga stipulata tra l’Imperatore Ferdinando II d’Asburgo e i principi luterani
  • 1636 Il duca di Savoia Vittorio Amedeo I occupa militarmente il castello di Cengio, per fronteggiare l’avanzata spagnola dalla costa ligure.
  • 1637 Muore il duca Amedeo I; diventa reggente la moglie Maria Cristina (sorella di Luigi XIII re di Francia), nota come Madama Reale.
  • 1638 Torino: Carlo di Castellamonte realizza piazza San Carlo
  • 1639 16 marzo: il generale spagnolo Don Martino d’Aragona assedia il castello di Cengio.
  • 1640 Muoiono Rubens, Galilei, Richelieu
  • 1642 Borromini inizia Sant’Ivo alla Sapienza
  • 1643 Muore Luigi XIII di Francia e gli succede Luigi XIV, di soli 5 anni, con la reggenza della madre Anna d’Austria
  • 1644 Viene eletto papa Innocenzo X Pamphilj
  • 1647 Bernini inizia la Cappella Cornaro che sarà terminata nel 1651
  • 1648 Pace di Westfalia; fine guerra dei 30 anni.
    Bernini inizia la Fontana dei Fiumi in piazza Navona, che sarà terminata nel 1651.
  • 1649 Epidemia di peste in Spagna. Giunge a Madrid la nuova regina, la quindicenne Marianna d’Austria.
    A Londra viene decapitato Carlo I d’Inghilterra
  • 1650 Giubileo a Roma.
    Athanasius Kircher pubblica la Musurgia Universalis, testo fondamentale dell’estetica barocca.
  • 1653 Malgrado la guerra tra Francia e Spagna, Mazzarino, Cardinale e diplomatico succeduto a Richelieu al servizio di Luigi XIV, intrattiene rapporti ufficiosi con Madrid
  • 1655 Cristina di Svezia, dopo avere abdicato in favore di Carlo X, giunge a Roma.
    L’Inghilterra vince la guerra contro l’Olanda.
    Viene eletto papa Alessandro VII Chigi.
  • 1657 Bernini inizia il Colonnato di San Pietro
  • 1660 Torino: Guarini realizza la cappella della Santa Sindone
  • 1662 Inizia la ricostruzione della chiesa di Cengio, come attesta l’incisione su pietra all’esterno dell’abside.
  • 1665 Borromini inizia la facciata di San Carlo alle Quattro Fontane a Roma
  • 1667 Visita Pastorale a Cengio del Vescovo di Alba, Monsignor Vittorio Della Chiesa: è la prima documentazione sul fabbricato della chiesa.
  • 1679 Torino: Guarini inizia Palazzo Carignano

ETIMOLOGIA: il nome Cengio sembrerebbe derivare da  “Cinglum”, ovvero “Cinto”, “circondato”, con riferimento ai cengi (speroni rocciosi) che si trovano sul territorio e che effettivamente cingono l’antico borgo di Cengio Alto.

LA BATTAGLIA DELLA ROCCA DEL CENGIO

Il 5 ottobre 1604 Giovanni Battista Del Carretto, figlio di Niccolò III Conte di Millesimo, promette di vendere a Carlo Emanuele I Duca di Savoia i luoghi di Cengio e Rocchetta, la metà di Millesimo e di Cosseria, Biestro, Plodio e Acquafredda, che egli aveva ricevuto in feudo da S.M. Imperiale.

Non ottenendo però il benestare dell’Imperatore, come prevedeva il contratto di vendita, questa non ebbe luogo.

Erano tempi di alleanze diplomatiche e di mire espansionistiche, soprattutto verso il mare, che restava per tutte le grandi potenze la meta da guadagnare.

La Spagna, distaccatasi da qualche anno dal mondo germanico, cercava di mantenere sotto controllo il passaggio che univa le terre del Milanese al mare e di lì alla patria; ma anche i Savoia cercavano una via verso il mare al di qua delle Alpi (il porto di Nizza serviva solo per le terre d’Oltralpe). A queste due potenze si aggiungeva Carlo di Gonzaga Duca di Nevers che, con la Pace di Ratisbona del 1630 tra Francia e Impero, era stato riconosciuto Duca di Mantova e del Monferrato, vantando così interessi territoriali su certi feudi delle Langhe.

In questo clima di tensione, Vittorio Amedeo I di Savoia (1587-1637). figlio di Carlo Emanuele I, si accorda con la Francia, schierandosi perciò contro i suoi fratelli Tommaso di Carignano e Maurizio di Savoia, alleati della Spagna.

CENGIO, punto strategico militare, dove già esisteva la fortificazione feudale dei Conti Del Carretto, rimaneva proprio su una delle strade che da Milano, attraverso Millesimo, conduceva a Finale, porto di passaggio dei rifornimenti di uomini e di mezzi tra la Spagna e la Lombardia. Espugnare Cengio significava perciò aprire un varco verso il Piemonte e mantenere il controllo verso il Finale. Alla vigilia dell’assedio, nel borgo si contavano 200 fuochi (nuclei famigliari).

Dopo vani tentativi di accordo con il Conte Nicola III Del Carretto per poter insediare una guarnigione militare nel castello, i primi giorni del 1636, giunta la notizia che truppe spagnole erano sbarcate sulla costa ligure, il Duca di Savoia Vittorio Amedeo I occupa militarmente il castello di Cengio.

Il Conte di Millesimo Niccolò Del Carretto viene fatto prigioniero ed è costretto a disporre la capitolazione del castello, in accordo con il Vescovo di Alba. Intanto il Duca di savoia fa costruire una ulteriore fortificazione attorno al castello, per rafforzarne le difese.

Il Duca Amedeo I non potrà però condurre lo scontro: muore infatti nel 1637 e gli succede come reggente la moglie Maria Cristina (sorella di Luigi XIII re di Francia), nota come Madama Reale, con un figlio di 4 anni, Carlo Emanuele II.

Il castello sorgeva su una roccia di pietra arenaria che, dal lato sud, verso Millesimo, ha uno strapiombo sul fiume Bormida di quasi 70 metri. Perciò imprendibile.

Dalla parte opposta, il terreno digradava dolcemente fino al borgo, distante circa 500 metri. Più agevole l’accesso da Saliceto, da cui più facilmente poteva arrivare un attacco nemico.

16 marzo 1639: il generale spagnolo Don Martino d’Aragona arriva da Alessandria con 7000 fanti e 1500 cavalieri, che assediano il castello; per sicurezza, viene posto d’assedio anche il castello di Saliceto, allora presidiato da una guarnigione di 300 soldati franco-piemontesi, comandati dal Capitano Butino di Ceva.

Esiste un’acquaforte (incisione) anonima conservata a Madrid, in cui è disegnata, attorno alla planimetria del castello, l’esatta posizione degli accampamenti spagnoli durante l’assedio.

Il Cardinale Richelieu invia rinforzi che, giunti sul luogo, si fronteggiano con gli assedianti per sette ore ma senza conseguire vittoria.  Al settimo giorno di assedio arriva l’annuncio che Torino è minacciata dalle forze spagnole; subito viene ordinato il ritiro delle truppe sabaude da Cengio, perchè queste possano portare soccorso a Torino. Gli Spagnoli otenngono a questo una facile vittoria.

Un resoconto coevo alla battaglia documenta che i belligeranti “erano più di quanto il luogo ne potesse contenere”; possiamo solo immaginare quale tragedia abbiano patito gli abitanti del borgo, disabituati da tempo alla guerra e dediti ad una economia di pura sussistenza, basata sulla produzione di scopelli di castagno e bachi da seta.

La storia proseguirà con anni di dissidi, lotte di interesse tra Spagna e Savoia finchè, con la Pace di Vienna del 1735, casa Savoia entrerà in possesso delle terre imperiali delle Langhe, comprendenti anche Cengio e Rocchetta di Cengio.

 ANTICA CHIESA PARROCCHIALE, STORIA E ARCHITETTURA

La prima testimonianza scritta è del 28 luglio 1291, giorno di San Biagio: si tratta di un’indulgenza concessa da Papa Nicola IV alla Chiesa di Santa Maria di Cengio della Diocesi di Alba. Di questa antica fondazione non si sa altro.

Il primo documento che riguarda il fabbricato della chiesa è del 1667, in occasione della visita pastorale del Vescovo di Alba, Monsignor Vittorio Della Chiesa. In quell’anno l’edificio risulta edificato per due terzi e con la parte del coro (rivolta ad est) ultimata; all’esterno dell’abside, a circa 8 metri dal suolo, una grossa pietra reca la data incisa: 1662, anno di inizio dei lavori di ricostruzione. La croce incisa a lato indica che la chiesa era consacrata quindi vi si potevano svolgere le funzioni, benchè non ancora ultimata.

Fin dall’anno 1600 la parrocchia aveva assunto il titolo di NATIVITA’ DELLA BEATA VERGINE MARIA; da quello più generico di Santa Maria, si era scelta una titolazione che facesse riferimento ad un momento particolare della vicenda terrena di Maria, a cui poter rivolgere preghiere, magari per avere figli sani e numerosi, unica vera ricchezza per un popolo contadino.

La chiesa è in stile barocco piemontese, decisamente più sobrio rispetto ai noti esempi di architetture romane, torinesi o veneziane coeve; costruita ad aula su un piccolo colle, domina il borgo. A qualche anno dall’assedio del castello e dalle distruzioni ad opera degli Spagnoli, con questa ricostruzione il villaggio sembra mostrare la propria volontà di rinascita e di riscatto; quasi a voler eliminare ogni traccia di quel disastro (ma anche, ovvio, per ragioni economiche) vengono riutilizzate molti blocchi di pietra del castello distrutto.

Alle spalle della chiesa vi è l’oratorio dei Battuti Bianchi, anch’esso costruzione seicentesca ma completamente smantellato al suo interno (è di proprietà privata).

Tutto intorno all’edificio vi erano le sepolture, poi spostate in un’area cimiteriale separata, in seguito all’Editto napoleonico di Saint Cloud (12 giugno 1804)

Il portico o platea davanti all’ingresso principale della chiesa è di inizio Ottocento, come risulta dal cartiglio al di sopra del portale; il Libro dei Conti del 1804 segnala la necessità di un portico di ingresso, per dare riparo ai fedeli nelle giornate di maltempo.

Il CAMPANILE, anch’esso in stile barocco, è a pianta quadrata con copertura a piramide; è alto circa 20 metri.

Alla fine degli anni ’20 del Novecento comincia l’abbandono della chiesa, quando la sede parrocchiale viene trasferita in Santa Barbara, costruita in quegli anni. Anche la vita del paese, con le sue nuove abitazioni, si sposta sull’altra sponda del fiume e più in basso.

ANTICA CHIESA PARROCCHIALE, L’INTERNO

L’altare maggiore è uno degli elementi più antichi della Chiesa, realizzato in marmi policromi nel 1872, in sostituzione di quello costruito da Antonio Pedruzzi e Domenico Cometa nel 1670: questa data è incisa nel piccolo armadio in muratura sul retro dell’altare. Ciò dimostra che il più antico scheletro dell’opera è stato inglobato in quello ottocentesco.

Sopra l’altare è stato sistemato un crocifisso tardo-medioevale, proveniente dall’antico oratorio dei Battuti. Al di sopra ancora era sospeso un scenografico baldacchino a pendoni in legno dipinto (oggi ricoverato nella tribuna della controfacciata) messo in opera nel 1781.

Alle spalle dell’altare è ancora ben conservato il coro ligneo con leggio centrale, già presente nel 1667.

Al fondo dell’abside è collocata la pala d’altare con la Natività della Vergine, ora in corso di restauro presso il laboratorio di Claudia Maritano, Carcare. Ai lati della pala, due finte nicchie con effetto trompe l’oeil nei toni del grigio raffigurano i Santi Pietro e Paolo; opera del Borgna.

Sulle pareti laterali del presbiterio sono collocati due dipinti: la Visitazione dei pastori e l’Adorazione dei Magi.

La volta dell’aula è affrescata dal pittore savonese Giovanni Borgna nel 1888, con la Gloria (Assunzione) di Maria al Cielo.

LE PARETI LATERALI (percorso da sinistra verso l’altare; poi a destra dall’altare verso l’uscita)

CAPPELLA DELLA MADONNA ADDOLORATA (1° a sinistra), restaurata nel 2008.

Pala d’altare di fine ‘700: in una relazione parrocchiale del 1770 viene indicato, insieme agli altri tre,  l’altare della Vergine dei sette dolori “in cornu evangelii”, cioè “sull’angolo del Vangelo”, quindi sul lato sinistro della chiesa, dove si leggeva il Vangelo secondo l’antica liturgia. (vedi sotto ICONOGRAFIA). I decori in stucco dipinto sulle pareti della cappela sono di fine ‘700.

IL GRUPPO LIGNEO DELLA MADONNA DEL ROSARIO è opera del savonese FILIPPO MARTINENGO detto PASTELICA, scultore di due casse processionali per il Venerdì Santo di Savona. L’opera gli viene commissionata nel 1786, ma già nel 1792 si segnala nel Libro dei Conti una “quasi totale rifattura”. Definita anche “moderna e assai decente”.

CONFESSIONALE IN MURATURA costruito tra 1849-51

CAPPELLA DELLA MADONNA DEL ROSARIO, restaurata nel 2007. Altare in marmo sormontato da un fastigio in stucco di fine ‘700, ospitante i 15 tondi con i Misteri del Rosario del 1843, opera di Giovanni B. Favaro. La nicchia è datata 1786; creata per ospitare la statua lignea della Madonna del Rosario, che vi fu collocata per soli sei anni,  contiene ancora oggi il CARTELAME ligneo della Vergine, realizzato nel 1792 come sostitutivo temporaneo durante il restauro della statua, danneggiata dall’umidità della nicchia stessa, orientata a nord.

La scultura rivela una impostazione che pare risentire di una rigida influenza dello stile neoclassico; la figura della Vergine, dal volto levigato, ha lo sguardo rivolto in basso verso i fedeli, cui porge un rosario, accennando un sorriso benevolo e accogliente.
Tali caratteristiche sono tipiche dello scultore savonese Filippo Martinengo detto “Pastelica”, autore di alcuni gruppi lignei della Processione del Venerdì Santo, tra cui “La Deposizione dalla Croce” e “L’Addolorata”. Maria ha l’abito costellato di rose di differenti roseti, simbolo della gioia e dei dolori della vita, attraverso i quali si può raggiungere la Gloria di Dio.

CAPPELLA DI SAN CARLO BORROMEO (a destra, di fronte alla Madonna del Rosario), restaurata nel 2001 la tela e nel 2005 la cappella. Decori parietali di fine ‘700; stessa datazione per la pala, nominata nel Libro dei Conti del 1772. L’immagine celebra San Carlo Borromeo, nato ad Arona nel 1538, fatto cardinale dallo zio Papa Pio IV a soli 21 anni; vescovo di Milano, condusse la sua missione cristiana in nome dell’humilitas. Muore di peste, dopo aver assistito gli ammalati; è protettore del clero, dei catechisti e dei maestri, invocato contro la peste; la sua fisionomia è ben riconoscibile per il grosso naso e la corporatura minuta. Eè ritratto in abito cardinalizio, attorniato da una schiera di santi: Gervasio e Protasio, compatrioti di Milano insieme a San Carlo, sepolti in Sant’Ambrogio; Santa Lucia; San Sebastiano, San Fabiano e San Francesco.

PORTINA di ingresso laterale, comoda all’arciprete che abitava a a fianco della chiesa. Secondo confessionale speculare al primo.

CAPPELLA DI SAN LUIGI GONZAGA del 1770; la pala mostra San Luigi in adorazione della Vergine Maria. Questo santo, vissuto nel XVII secolo, entrò nella Compagnia di Gesù a Roma; San Carlo gli impartì la prima Comunione. Aiutò gli ammalati durante la peste e morì, colpito dal morbo, a soli 23 anni. Suoi attributi di riconoscimento sono: il giglio, simbolo di purezza; il teschio simbolo di preghiera e meditazione sul valore della vita terrena; la corona del potere temporale, che egli rifiutò, essendo di nobile stirpe.

ICONOGRAFIA CRISTIANA DOPO IL CONCILIO DI TRENTO (1545-1563)

In seguito alla scissione operata dai Protestanti e alla controriforma della Chiesa cattolica si assiste ad una generale riorganizzazione delle immagini sacre, tendente ad una semplificazione iconica e ad una progressiva cancellazione di figurazioni non canoniche, pericolose dal punto di vista dottrinale e troppo vicine alla mentalità popolare; le gerarchie ecclesiastiche cominciano ad esercitare un pesante controllo sulla produzione artistica. Si cerca di uniformare il più possibile l’immaginario visivo dei fedeli tramite la veicolazione di figurazioni rispettose della tradizione e del decoro, per una facile divulgazione della dottrina e dei dogmi cristiani.

Anche l’architettura delle chiese subisce radicali trasformazioni, soprattutto nel corso del 1600, secolo del Barocco in arte e dell’affermazione dell’Ordine dei Gesuiti (voto di totale obbedienza al Papa e impegno nelle missioni di evangelizzazione e nell’educazione). La liturgia diventa spettacolo, deve emozionare il fedele e magnificare la potenza divina; gli edifici religiosi sono ad aula (senza suddivisione in navate) per concentrare l’attenzione dei fedeli verso l’altare maggiore, su cui si celebra l’Eucarestia; spesso ci si avvale nella messinscena di spettacolari macchine d’altare mobili rappresentanti il santo titolare, che vengono calate sull’altare con effetti di fumi e vapori.

CULTO E ICONOGRAFIA DELLA VERGINE MARIA

La devozione del culto mariano è già viva nel basso medioevo (XIII-XIV secolo), alimentata nei secoli dai nuovi ordini religiosi: Francescani, Domenicani, Carmelitani; Servi di Maria; Agostiniani.

Le suppliche abituali a Maria Vergine erano, già allora, la Salve Regina e l’Ave Maria; alla sua venerazione si dedicava un giorno alla settimana, il sabato, mentre la domenica era consacrata a Dio.

Riguardo all’iconografia mariana, dalla fine del Trecento si svilupparono alcune singolari composizioni, che fiorirono in particolare nel Quattrocento e sopravvissero negli ambienti di periferia e più radicati alle tradizioni. Ad esempio, la Madonna della Misericordia che apre il suo mantello ai devoti e li ripara dalle minacce celesti (particolarmente richiesta dalle committenze comunali e delle confraternite); la Madonna del Soccorso che bastona un piccolo diavolo e salva un’anima. Ancora, la MADONNA ADDOLORATA che tiene sul grembo il Cristo morto; soggetto chiamato VESPERBILD in area tedesca, dove ha particolare diffusione nelle forme di piccole sculture in legno, trasportabili. Da quelle avrebbe preso spunto Michelangelo per la sua Pietà in Vaticano.Il soggetto è antico e si consolida nel XVI secolo, per avere poi particolare diffusione durante il XVII secolo. Come nasce: dalla lettura dei Vangeli, i cristiani hanno individuato sette dolori affrontati da Maria: 1) profezia dell’anziano Simeone sul destino del bambino Gesù. 2) Fuga in Egitto. 3) Gesù si perde per tre giorni nel Tempio di Gerusalemme. 4) Incontro di Maria e Gesù lungo la Via Crucis.5) Maria ai piedi della croce con San Giovanni (Madre, questo è tuo Figlio). 6)Maria accoglie nelle sue braccia Gesù morto e deposto dalla croce. 7) Maria vede seppellire Gesù.

Viene celebrata nella Settimana Santa e anche a settembre.

Altre figurazioni si affermano dal XVI secolo in avanti: LA VERGINE DEI SETTE DOLORI, con una o più spade conficcate in seno. Di maggiore diffusione fino ai nostri giorni è la MADONNA DEL ROSARIO, contornata dalle scenette coi 15 misteri dolorosi, gaudiosi, gloriosi. La devozione del Rosario viene diffusa a partire dal Quattrocento in particolare dall’Ordine domenicano, che sosteneva l’apparizione della Vergine a San Domenico; in tale occasione il santo ricevette in dono una corona del rosario. L’iconografia della Madonna del Rosario, in trono col Bambino nell’atto di distribuire corone di rosari a Santi e devoti, ebbe inizialmente molto favore nei paesi d’Oltralpe; in Italia una delle prime immagini note è il dipinto di Albrecht DURER conosciuto come LA FESTA DEL ROSARIO, ora a Praga.

Una grande diffusione delle immagini della Madonna del Rosario si ebbe però solo dopo la promulgazione da parte di Papa Pio V nel 1569 della bolla Consueverunt romani Pontifices, che definì il Rosario “un modo piissimo di orazione e di preghiera a Dio” e della successiva Salvatoris Domini del 1572, in occasione della vittoria a Lepanto sui Turchi, ottenuta con l’intercessione della Madonna del Rosario.

L’iconografia rosariana, grazie alla sua semplicità e alla sua immediata visualizzazione didascalico-didattica, divenne una sorta di summa del pensiero cristiano. Nei 15 misteri è racchiusa l’intera parabola della vita della Vergine e del Cristo; i pittori si sbizzarrirono nel creare soluzioni per rappresentarle accanto all’immagine principale. Fantasioso è Guido Reni, che raffigura gli episodi come germogli di una piantina di rose (Bologna, Santuario della Madonna di San Luca); Lorenzo Lotto li rappresenta entro tondi sboccianti da ramoscelli di una grande pianta (Chiesa di Sn Nicolò di Cingoli, 1539).

ICONOGRAFIA DELL’ASSUNZIONE DELLA VERGINE: l’Assunzione in cielo del corpo incorrotto della Vergine è un tema molto sperimentato dagli artisti fin dall’età gotica ed è derivato dalla narrazione di San Gregorio di Tours, che riprende passi dei Vangeli apocrifi. Esso si sostituisce a quello della Dormitio Virginis, in cui Cristo appare quando Maria è deposta sul sepolcro e vegliata dagli apostoli e prende con sé l’anima della Madre (animula) di solito rappresentata come una bambina in fasce.

Nell’Assunzione vera e propria Maria ascende al Paradiso sollevata dagli angeli, mentre gli Apostoli assistono stupiti all’evento; generalmente apre le braccia ed ha lo sguardo rapito verso il cielo, mentre dal sepolcro vuoto straripano gigli e rose, simboli della sua purezza (il giglio dell’Annunciazione e la rosa senza spine, che rimanda all’assenza del peccato originale nella Madonna). Nell’alto dei Cieli è attesa da Dio Padre o da Cristo, dai quali verrà poi incoronata Regina. L’immagine più nota è l’Assunzione di Tiziano.

Talvolta, mentre sale al Cielo, consegna a San Tommaso, incredulo del miracolo, la sacra cintola, simbolo della sua protezione.

Questo soggetto, per la sua apertura verso cieli infiniti, si presta ad essere rappresentato sulle volte delle chiese (Assunta della Cupola del Duomo di Parma, opera di Correggio), dando effetti di sfondato illusionistico.

Rubens introduce nei dipinti con questo soggetto un’innovazione che poi prende piede nella pittura fiamminga del XVII secolo: ai piedi del sepolcro due donne raccolgono i fiori e simboleggiano forse Marta e Maria (Vangelo di Luca), cioè la vita attiva e contemplativa, oppure il corpo e l’anima della Vergine.

GLI ARTISTI DELLA CHIESA: NOTE BIOGRAFICHE E STILISTICHE.

Giovanni Borgna nacque a Martiniana Po (CN) il 14 luglio del 1854; avvezzo alla pittura fin da giovanissimo. Impossibilitato a svolgere lavori manuali e faticosi a causa di un leggero handicap fisico (zoppia), fu indirizzato dal padre agli studi, prima a Saluzzo, in collegio e poi a Torino, dove  poteva alloggiare presso la zia Margherita. Frequentò l’Accademia Albertina di Belle Arti già nell’anno 1867/68, quando Netou – così veniva chiamato –  aveva solo 13 anni! Problemi  di salute e familiari (la necessità di aiutare il padre nel lavoro – mastro da muro e stuccatore) fecero sì che potesse diplomarsi soltanto nel 1884. In quel periodo si aggiudicò diverse medaglie d’oro in differenti premi di pittura e di disegno. Fu assai prolifico di opere sia in Piemonte che in Liguria. Nel 1871, dipinse alcune figure di Santi sulla facciata della casa di Cesare Maero, a Martiniana Po.
Ma proprio perché troppo richiesto, Borgna finì per ripetere pochi soggetti all’infinito, cambiando solo qualche gesto e qualche volto e questa fu la sua più grave pecca. Nel 1888, sul terrazzo della casa di Jole Putetto, a Martiniana Po, in Via Roma 33, il pittore dipinse una “Apparition de Notre Dame de la Salette”. Non avrebbe più operato nel paese natale fino al 1901: “Quest’anno sono occupato attorno alla Chiesa Parr.le del mio paese di Martiniana…”. Così avrebbe scritto in data 15 marzo 1901 al parroco di Pontedassio, don Bartolomeo Gandolfo. Netou Borgna, morì a Martiniana Po il 5 gennaio del 1902.

Nella sua breve esistenza Netu Borgna riuscì a realizzare numerose opere, contribuendo ad arricchire il panorama delle arti figurative e plastiche presenti nella  provincia di Cuneo e non solo. Infatti, sotto la sua sapiente guida, si costituirono numerosi cantieri di artisti che realizzarono tele e affreschi di parti o intere chiese a Martiniana Po, Brondello, Sanfront, Paesana, Revello, Envie, Bagnolo Piemonte, Saluzzo, Cardè, Scarnafigi, Pontechianale, Sampeyre, Venasca, S. Damiano Macra, Tarantasca, Garessio e in molti altri centri del Piemonte e della Liguria. L’attività del pittore e ritrattista doveva essere molto apprezzata dal clero e dai committenti privati, che continuarono a richiedere commesse per la realizzazione di tele e decorazioni sacre.

Fra le opere che meglio descrivono la produzione artistica del pittore vi è un autoritratto, ultimato dopo la sua morte dalla sorella Rosa, che lo collocó nella tomba di famiglia a Martiniana. Nella tela la sorella aggiunse alle spalle del Borgna, intento a dipingere, la figura dell’angelo custode; Rosa Borgna riprese e riprodusse tale immagine da un dipinto realizzato, intorno al 1885, dallo stesso fratello Giovanni per la chiesa di Villaretto a Bagnolo Piemonte. Come ha scritto don Domenico Raso, uno dei massimi esperti dell’artista, ‘con il suo gesto amoroso pensiamo che la sorella volesse qui raffigurare l’anima buona di Netto, pittore di madonne e di angeli, e quindi più che meritevole di ascendere in quei cieli di Gloria che aveva affrescato per tanti Santi’. Infatti, una delle peculiarità che caratterizzarono l’opera dell’artista di Martiniana fu proprio quella di dipingere e realizzare numerose figure angeliche. Molti di questi angioletti, putti e cherubini, pur non essendo i soggetti principali dei quadri e degli affreschi, vennero peró realizzati seguendo delle precise soluzioni stilistiche e cromatiche. L’artista, con un acuto senso di analisi, riuscì a rendere evidenti anche gli aspetti psicologici di tali esseri spirituali, e si impegnó affinché i volti, le forme e i drappeggi risultassero ricchi di luce, volume e colore.

Le raffigurazioni realizzate dal Borgna si basavano soprattutto sui testi del Nuovo Testamento, come i pregevoli affreschi L’agonia di Gesù nell’orto del Getsemani di Brossasco e Sanfront. Nella scena alcuni angeli furono affrescati in atteggiamento adorante, altri invece con il capo chino e le mani giunte, intenti a pregare insieme a Gesù sofferente. Nell’orto del Getsemani proposto dal Borgna le delicate figure celestiali sono portatrici di luce e rimangono sveglie al capezzale di Cristo, perché incorruttibili alle tentazioni terrene.

Anche se i temi sacri dei dipinti venivano decisi e suggeriti dai committenti finanziatori, il Borgna riuscì ad interpretare in maniera originale e sapiente quanto richiesto. E’ importante ricordare che negli anni in cui vennero realizzate tali opere (1870- 1901) la quasi totalità dei credenti non sapeva né leggere né scrivere: i dipinti oltre ad abbellire i luoghi di culto erano utilizzati come una sorta di catechismo figurativo per istruire la comunità dei credenti. In particolare l’artista di Martiniana volle esprimere nei suoi angeli uno spirituale stato di bellezza, avvolgendoli in tuniche sacerdotali o in classiche vesti; tali esseri furono dipinti quasi sempre con le ali e con il nimbo, la nuvola luminosa circondata da luce sfolgorante. Nei suoi quadri è altresì presente tutta una serie di arcangeli, serafini e cherubini intenti a suonare cetre, tubicini e tamburelli; altre figure angeliche sorreggono invece santi, cartigli, palme, libri sacri e gigli. Particolarmente significative sono le decorazioni a fresco e i quadri presenti a Brondello, Brossasco, Sanfront, Envie, S. Damiano Macra e nella Chiesa dei Cappuccini a Saluzzo, dove il Borgna dipinse delle pregevoli e numerose schiere di angeli, intenti a glorificare e ad accompagnare l’ascesa al cielo di Maria.

L’artista fu molto attento ad adattare l’iconografia classica con le richieste dei committenti del luogo. Inoltre, per andare incontro alle esigenze dei fedeli, il pittore – come documentato da don Raso – utilizzó ‘per le figure e i modelli’ delle sue opere la ‘gente comune’ del posto. Dopo una vita spesa per l’arte Giovanni Borgna morì il 5 gennaio del 1902 all’età di 47 anni a causa di una polmonite, contratta nei mesi invernali durante la realizzazione di un dipinto su di un edificio esterno.

Filippo Martinengo detto PASTELICA (Savona 1750 – ivi, 1800); è stato scultore, intagliatore, autore di casse processionali e di figure dei presepi liguri.

Estratto delle Relazioni di Restauro di Claudia Maritano

VOLTA DEL PRESBITERIO E DELL’ABSIDE (2011)

Stato di conservazione

La condizione conservativa della volta della zona absidale si mostrava alquanto precaria, con gravissime perdite e notevoli manomissioni.

La superficie in oggetto, pari ad oltre 60 m2, rivelava caratteristiche simili alle volte delle quattro Cappelle laterali, ovvero un’elegante decorazione plastica di fine Settecento con cornicette,  racemi, volute e motivi floreali illuminati da foglia d’oro.

Su questo substrato originale si era operato, probabilmente poco più di un secolo dopo, un totale stravolgimento delle tinte e del progetto decorativo, andando ad inserire fascioni bordeaux, fondi marroni e verde cupo su pannellature ornate di fiori stilizzati variopinti.

Sulla parete di fondo, realizzata molto probabilmente nel primissimo Novecento con l’intenzione di suggerire una semicupola marrone con tralci appena abbozzati, si scorgeva la persistenza di ornati antecedenti, trattati come finti stucchi secondo il motivo del rosone e del girale, con apice costituito dall’occhio divino al centro di una raggiera di luce.

Le quattro finte finestre realizzate a trompe l’oeil ad inizio Novecento, si sono rivelate differenti, due a due: infatti, mentre sul lato destro il tamponamento era ricoperto da un unico strato cromatico, su quello sinistro era ancora presente il motivo decorativo originale, a mezzo fresco, costituito da una grata bianca su fondo bluastro.

I fondi originali della volta, tinteggiati con colorio a calce, presentavano cromie alquanto vivaci, con una tavolozza spaziante dal giallo sole al rosa salmone, all’azzurro cielo ed al tortora.

Le infiltrazioni di acqua piovana, insinuatesi per molti anni attraverso le coperture lesionate, avevano cagionato molteplici e gravi danni all’apparato plastico in stucco: buona parte di esso, soprattutto nella parte sinistra, era ormai andata perduta o si presentava fortemente lacunosa ed in fragilità.

La materia costitutiva appariva degradata fino alla decoesione più avanzata.

Le efflorescenze saline cristallizzate in superficie avevano sollecitato i piccoli aggrappi dei rilievi, tanto da provocarne la caduta.

La finitura a foglia d’oro zecchino era quanto mai frammentaria e compromessa.  Gli intonaci, originariamente assai tenaci e ricchi di grassello di calce affiorante, apparivano ormai sfaldati ed inquinati dai sali solubili.

L’alto tasso di umidità presente nell’ambiente aveva favorito fenomeni di condensa determinanti altresì la polverulenta degli strati pittorici e delle stesse dorature.

Interventi eseguiti

Indagini stratigrafiche al fine di chiarire l’esatta successione dei progetti decorativi.

Raccolta ed aspirazione del materiale decoeso sul cornicione e tra gli ornati.

Asportazione degli strati pittorici superficiali totalmente incoerenti e rimozione delle concrezioni saline solidificate.

Rimozione degli elementi metallici estranei ed inutilizzabili.

Lavaggi ed impacchi con acqua demineralizzata supportata da polpa di cellulosa sulle porzioni inquinate dai sali solubili.

Consolidamento ed ancoraggio delle porzioni mobili di modellato mediante maltine adesive.

Sigillatura preliminare delle fessurazioni.

Limitazione dei distacchi e dei punti di vibrazione mediante iniezioni di malta liquida premiscelata a basso peso specifico.

Ricostruzione in malta (calce Lafarge e/o grassello e sabbia opportunamente setacciata) delle porzioni di modellato lacunose e loro finitura con prodotto a base di calce.

Riproduzione, ove necessario, di porzioni di modellato mancanti tramite la realizzazione di calchi con gomma siliconica e gesso per calchi.

Sigillatura definitiva delle fessurazioni e rasatura dei fondi lacunosi con maltina a base di grassello di calce stagionato e polvere di marmo.

Tinteggiatura totale a base di tempera giallo ocra degli ornati in rilievo.

Lumeggiatura delle dorature mediante pigmenti metallici in polvere legati a vernice chetonica.

Patinatura delle dorature con velatura a base di vernice chetonica e colori a vernice per restauro.

Tinteggiatura delle specchiature di fondo con tinte a calce preparate con pigmenti in polvere legati a grassello di calce stagionato.

Integrazione pittorica ad acquarello delle porzioni cromatiche recuperate.

PARETI DEL PRESBITERIO E DELL’ABSIDE (2013)

Stato di conservazione

All’inizio del cantiere di restauro la zona absidale corrispondente alle pareti ed al cornicione aggettante mostrava di sé un’immagine alquanto confusa e disordinata, ove momenti decorativi differenti tornavano alla vista simultaneamente ed un accentuato degrado dei materiali costitutivi poneva seriamente in pericolo la conservazione nel tempo degli ornati plastici e delle decorazioni pittoriche.

Si trattava di elementi e superfici fortemente compromessi, non soltanto dall’usura ma anche da gravi fenomeni accidentali, i quali avevano determinato il passaggio di cospicue quantità di acqua piovana sia dalle coperture lesionate che dai due finestroni presenti.

L’azione diretta ed indiretta dell’umidità inquinata dai sali solubili aveva comportato dapprima un indebolimento delle malte di finitura delle murature e quelle facenti parte degli elementi plastico-decorativi, quindi il loro sgretolamento e caduta a placche, con perdita di importanti porzioni di ornato e di gran parte della pellicola pittorica e delle dorature a foglia presenti.

Il lato sinistro risultava ancora una volta quello maggiormente colpito dalle infiltrazioni: in più punti, lungo la seconda lesena di sinistra, si riconoscevano vere e proprie incrostazioni saline ed alveolizzazioni dello stucco e delle malte.

Le poche dorature conservatesi erano ormai evanescenti e decoese. Le superfici dell’abside apparivano inoltre fittamente cosparse di ganci, chiodi, grappe facenti parte di vecchi impianti elettrici o utilizzati per l’applicazione di drappi e tendaggi. Il cornicione, oltre a presentare molteplici sbrecciature e fessurazioni, aveva perduto l’elegante lavorazione a trompe l’oeil raffigurante finti marmi policromi scolpiti con archetti e fogliette in chiaroscuro.

Gli infissi, risalenti probabilmente ancora al XIX secolo, avevano perso la loro funzione protettiva e non garantivano più una chiusura stagna nei confronti della pioggia. Il legno appariva ormai disseccato e sfibrato per effetto di acqua e sole, con molteplici fessurazioni e sfaldature.

Gli stessi vetrini, semplici e sottili, risultavano mobili ed instabili. In corrispondenza delle strombature delle due finestre l’intonaco era stato aggredito dal passaggio ripetuto di acqua piovana e mostrava consunzioni e decoesioni importanti.

Nel corso del XX secolo si erano operati grossolani rappezzi sulle aree lacunose, mediante l’impiego di cemento a pronta presa.

Sulle dorature superstiti si notavano abbondanti depositi di particellato e nero fumo, accompagnati da fenomeni di frammentazione in scaglie e sollevamenti del sistema doratura – ammanitura gessosa.

Dal punto di vista delle scelte critiche che si sono operate come filo conduttore del cantiere di restauro è da notare la decisione di conservare e privilegiare alla vista la fase ottocentesca di decorazione.

Si è infatti optato per la continuità stilistica tra la parete di fondo dipinta dal Borgna nel 1888, con le belle nicchie accoglienti le figure di San Pietro e San Paolo e i due laterali, ove tra la scansione di quattro lesene realizzate a finto marmo si tinteggiarono campiture monocrome nelle tonalità del verde, del viola e del terra d’ombra.

Il cornicione marmorizzato costituisce un ulteriore elemento di raccordo, che va a collegare l’intera aula centrale.

La fase di fine ottocento ha, ancora una volta, espresso con grande magnificenza la predilezione per la luminosità dell’oro, applicato a saturazione e non più a lumeggiatura su tutti gli elementi plastici in rilievo.

Le indagini diagnostiche sono state realizzate dai tecnici del laboratorio di restauro dipinti murali della Soprintendenza di Genova.

Interventi eseguiti

Indagini stratigrafiche al fine di chiarire l’esatta successione dei progetti decorativi.

Raccolta ed aspirazione del materiale decoeso sul cornicione e tra gli ornati.

Asportazione degli strati pittorici superficiali totalmente incoerenti e rimozione delle concrezioni saline solidificate.

Fissaggio localizzato della pellicola pittorica deadesa mediante applicazione a pennello di resina Acril 33 diluita in acqua demineralizzata al 10%.

Rimozione degli elementi metallici estranei ed inutilizzabili.

Rimozione meccanica delle stuccature eseguite con malta cementizia.

Lavaggi ed impacchi con acqua demineralizzata supportata da polpa di cellulosa sulle porzioni inquinate dai sali solubili.

Consolidamento ed ancoraggio delle porzioni mobili di modellato mediante maltine adesive.

Sigillatura preliminare delle fessurazioni mediante malta a base di sabbia setacciata e grassello di calce.

Limitazione dei distacchi e dei punti di vibrazione mediante iniezioni di malta liquida premiscelata a basso peso specifico (PLM – AL CTS)

Ricostruzione in malta (calce Lafarge e/o grassello e sabbia opportunamente setacciata) delle porzioni di modellato lacunose e loro finitura con prodotto a base di calce.

Sigillatura definitiva delle fessurazioni e rasatura dei fondi lacunosi con maltina a base di grassello di calce stagionato , polvere di marmo e sabbia setacciata.

Fissaggio delle scaglie mobili di doratura mediante iniezioni di resina Acril – Me pura.

Leggera pulitura delle dorature conservate mediante tamponcini intrisi di mista a base di acqua ed alcool etilico in proporzione 1:1.

Tinteggiatura dei fondi con colori a base di grassello di calce e pigmenti in polvere e loro patinatura.

Integrazione delle decorazioni a finto marmo sia sul cornicione che sulle lesene mediante colori a base di grassello di calce e pigmenti in polvere.

Doratura di tutti gli ornati in rilievo mediante foglia d’oro falso applicata a missione e successiva patinatura invecchiante a base di gomma lacca decerata opportunamente pigmentata.

Sostituzione dei due infissi lignei con copie in legno realizzate artigianalmente.