Nel XV secolo, che è stato chiamato con la pregnante espressione “Autunno del Medioevo” da Huizinga, il lungo cammino del cristianesimo giunge ad una svolta: siamo in tempo di Umanesimo, siamo alle soglie della scoperta dell’America e della Riforma. Già spirano o hanno spirato venti di contestazione (eresia albigese, scisma), ma nella devozione popolare, intesa non in modo negativo ma come la vera impronta della vita quotidiana di ogni persona, nulla è cambiato. Nel XIII secolo nasce un’opera che per secoli è stata una sorta di vero best-seller, seconda solo alla Bibbia: la “Legenda Aurea” di Jacopo da Varagine, frate domenicano (diventato poi Generale dell’Ordine e Vescovo di Genova) che si accinse a scrivere la vita dei santi intorno al 1265. Se prima di lui si potevano leggere opere agiografiche di singoli santi, con Jacopo abbiamo una raccolta che si snoda lungo tutto l’anno liturgico, punteggiato da feste, memorie, tempi sacri che riportano l’anno solare nell’alveo di un tempo sacro senza soluzione di continuità. La Legenda è ricchissima di notizie, fatti, miracoli e tradizioni cui i pittori hanno attinto a piene mani. Così come si sono ispirati agli Exempla, florilegio di esempi edificanti usati dai predicatori; ricordiamo in particolare quello di S. Bernardino da Siena, il francescano che nella seconda metà del XIV secolo percorse tutta la penisola per predicare, giungendo anche nel Monregalese, a Piozzo, e alle cui omelie accorrevano centinaia di persone. E così come hanno fatto riferimento ai Vangeli apocrifi, specie quelli dell’Infanzia; alcune tradizioni sono infatti frutto proprio di questi testi e sono rimaste vive anche nel nostro frenetico, irriverente XXI secolo, basti pensare alla festa della Natività della Vergine. Jacopo raccoglie tutto, cita tutto, di un santo ci dà non solo la vita, per lo più testimonianza di fede profonda e genuina, ma ne narra anche i miracoli post-mortem in un continuum che accomuna lassù e quaggiù, proprio come avviene nella vita ordinaria del Medioevo dove non vi era mai divisione tra alto e basso, cielo e terra. Anche la morte non è vista come qualcosa di pauroso e definitivo, ma come un passaggio alla gioia senza fine. Per questo i predicatori puntano tanto sul pentimento e i pittori su Inferno e Paradiso: ciò che fa paura e davvero terrorizza è il non essere salvi per l’aldilà. Allora i santi diventano modello da seguire per essere sicuri di giungere alla Gerusalemme celeste. Da tutto questo sembrerebbe di parlare di un’epoca di fratellanza, solidarietà, pace, buoni sentimenti e profonda fede. Certo non è così, ma è così che insegnano i predicatori attraverso gli Exempla, è così che ci narrano i cicli pittorici, ed è per questo che l’uomo dell’”autunno del Medioevo” aspira divenire santo per entrare in Paradiso. Poi ci mette lo zampino il diavolo con le sue tentazioni e le sue possessioni: quanti santi provati dal demonio troviamo nella Legenda! Quanti indemoniati liberati dai santi! I cicli pittorici lo ricordano e ricordano anche i miracoli, le intercessioni, le lotte per non cadere in tentazione, i pentimenti, le conversioni di questi santi che sono amici, mediatori, patroni dell’umanità afflitta del ‘400 e di tutti i tempi. Accanto ai santi, e certo con più prestigio e forza, troviamo Cristo e la Vergine Maria: la Passione e la Crocifissione di Gesù sono fulcro e paradigma di ogni chiesa e cappella. La raffigurazione del Gesù mite e bello ma ricoperto di piaghe, di sangue, di insulti e sputi deriva dalla “mistica dell’Amore”, che nel XIII-XIV secolo ha visto il diffondersi delle “rivelazioni” di tante sante toccate dalla mano dell’Altissimo un po’ in tutta Europa: santa Caterina da Siena, santa Ildegarda di Bingen, santa Brigida di Svezia. Donne forti che hanno fatto della loro vita un tabernacolo per Cristo e invitato i credenti ad accostarsi con intimo compianto alla Passione e Morte di Gesù. I pittori la raffigurano sulle pareti di ogni cappella con maggiore o minore intensità: qui più attenti all’aspetto delle sofferenze fisiche, là più propensi ad una rappresentazione teologica. Ma sempre le nostre pitture hanno un unico intento: non la raffigurazione del bello, come avverrà nel Rinascimento, ma l’esemplificazione di come vivere per raggiungere la salvezza, di come fare dei santi dei modelli di vita, di come rendere Cristo e Maria veri portatori di luce per mettersi alla loro sequela. È questa la sola Biblia pauperum degli affreschi quattrocenteschi nel Monregalese.