Verso la fine del 1400, un fornaciaio, sfortunato nella cottura dei suoi mattoni, in voto innalzò un pilone con l’immagine della Madonna col Bambino. Nel 1592 l’immagine fu colpita da un maldestro cacciatore e si diffuse una intensa devozione  alla Vergine che portò alla costruzione della basilica. Il 7 Luglio 1596 fu posta la prima pietra, grazie all’intervento del duca Carlo Emanuele I di Savoia. Ascanio Vitozzi  seguì i lavori fino al primo corni­cione e ven­nero completate la cappella di S. Benedetto (affrescata da Taricco, con il mausoleo alla duchessa Margherita di Savoia del Gagini) e quella di S. Bemardo (affrescata dai Rechi, con la tomba del duca opera dei Collino). Nel 1615 Vitozzi morì e i lavori furono interrotti; ripresero tra il 1701 e il 1733 con le sole forze dei monregalesi, ad opera dell’architetto Francesco Gallo che completò la grande mole: innalzò il tamburo, vibrante di luce, costruì la cupola ellettica, e chiuse l’opera con la lanterna. Gallo disegnò inoltre altari, balau­stre e il baldacchino sul pilone, suo capolavoro e fulcro scenografico dell’intera basilica, anche se quest’ultimo non fu realizzato da lui ma portato a termine nel 1750 da Bernardo Antonio Vittone.

Il pilone dell’immagine miracolosa non poteva conservare la sua rustica povertà, Simone Boucheron orafo e Francesco Ladatte scul­tore, lo rivestirono di una teca in argento dorato, scrigno settecentesco fantasioso e prezioso, e il Solaro scolpì le statue della carità e della speranza e le acquasantiere. Nell’abside si trova il grande altare dedicato a S. Rocco, su disegno del Conte Felice Cordero di Pamparato, completato con la tela del Mayer. Per gli affreschi, dopo vari tentativi falliti, furono chiamati Mattia Bortoloni, figurista di scuola veneta e Felice Biella, quadraturista milanese; tra il 1746 e il 1748 i due portarono a termine l’opera in un insieme unitario molto equilibrato.

Nel 1830-31 su progetto dell’architetto Ferdinando Bonsignore, l’ingegnere Virginio Bordino eresse la faccia­ta principale con accentuazione neoclassica. Nel 1883 le due falde di tetto, a gradoni circolari con coppi piemontesi, furono sostituite con la discutibile calotta in rame, ese­guita dall’ingegnere Stefano Vajra. Nel 1903 si pose l’organo a trasmissione pneumatico tubolare, opera di Carlo Vegezzi Bossi, (N° 1103) abbellito con la cassa del Roasio. Nel 2003 trovò la sua collocazione la via crucis in bronzo, opera di Tonio Specchia.

Sugli oltre seimila metri quadrati di superficie dipinta si sviluppa l’affre­sco più vasto del mondo a tema unico, quello della Sto­ria della salvezza attraverso Maria, con la sua gloriosa Assunzione nell’Empireo. Il grande affresco ci mostra, ai margini dello spazio sacro, il primo annuncio di salvezza venire dalle Sibille pagane. Sui pilastri sono raffigurati episodi della vi­ta terrena di Maria, tutti in lieve monocro­mo verde oliva, colore dell’attesa e della spe­ranza. Sugli arconi simboli e motti biblici riferiti a Maria sono sostenuti da grandi angeli vestiti di luce. Tra i finestroni sono effigiati alcuni Profeti. Alla sommità del tamburo appaiono visioni di mura, torri, ca­stelli, città in rovina, per significare la caducità delle glorie umane confrontate con la gloria dell’eternità. Sulla cupola, da otto nicchie si affac­ciano in estatica contemplazione gli Aposto­li, compreso San Paolo.  L’apostolo Mattia ha il volto del pittore Mattia Bortoloni, inginocchiato in atteggiamento di umiltà. Partecipano all’e­vento la Carità, la Speranza, le Virtù cardi­nali e quattro dottori della Chiesa ( Ambrogio, Gregorio, Agostino e Gerolamo). Al centro della cupola, sotto il mosso bal­dacchino, trionfa la gloria radiosa di Maria fra la gioia degli angeli osannanti e musicanti, mentre dalla luce paradisiaca del cupolino si protende la Trinità ad accogliere l’anima e il corpo della Vergine. Un lembo di cielo e di paradiso, con stelle d’oro,  tutte a otto punte, e nubi traspa­renti, scende nello spazio architettonico della cupola. Nel vastissimo spazio concavo, figure ed episodi sono distribuiti con disinvolta regia e con gradualità di toni e di luci, senza rigi­de incorniciature ma con pause sapienti e fe­stosità di ghirlande fiorite.